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Ecologia politica

Ecologia ed Epidemia (raccolta di scritti – parte 1)

Introduzione

L’emergenza che stiamo vivendo investe globalmente la società in cui viviamo, si sviluppa su problematiche pregresse e potenzialmente lascia scorgere inediti scenari. Come tavolo di discussione sui temi di ecologia e ambiente del percorso cittadino per una contro-progettazione dell’area dell’ex-caserma Sani abbiamo deciso di raccogliere, riassumere o tradurre una serie di contributi che crediamo possano essere utili per leggere questa crisi con le lenti critiche di uno sguardo ecologista. 
Dentro questa sezione, in continuo aggiornamento, troverete una serie di articoli, interviste e riflessioni selezionati e brevemente raccontati. Quelli che inseriamo oggi, 2 aprile 2020, sono divisi in due aree ed elencati in ordine cronologico rispetto al giorno della loro pubblicazione. E’ ovviamente un elenco parziale e mai esaustivo, un tentativo di diffondere contenuti che per qualche motivo abbiamo trovato interessanti. Tenteremo di aggiornare settimanalmente questa pagina per segnalare nuove uscite sul tema.

Sezione 1 : SULLE CAUSE DELLA PANDEMIA

1)  https://mondiplo.com/contra-las-pandemias-la-ecologia  -> traduzione qui: https://pad.riseup.net/p/contralaspandemias

L’articolo di Sonia Shah – giornalista e autrice di Pandemic: Tracking Contagions, from Cholera to Ebola and Beyond – inserisce l’attuale epidemia di coronavirus nel contesto delle centinaia di nuovi virus emersi nell’ultimo secolo, collegandola alla pressione umana sull’ambiente da un lato e agli allevamenti industriali dall’altro. Il traferimento di microorganismi patogeni da animale a uomo non è certo un’invenzione recente – esiste da sempre – ma negli ultimi decenni il processo è decisamente accelerato.  Alla radice di molte delle recenti epidemie c’è la distruzione degli habitat naturali, che ha come conseguenze la migrazione delle specie selvatiche vicino o all’interno dei centri abitati, lo sconvolgimento dell’equilibrio delle popolazioni delle diverse specie animali e il prodursi delle condizioni per la proliferazione di insetti vettori di malattie. A fianco di ciò, gli allevamenti industriali, con migliaia di animali ammassati fra loro, costituiscono il luogo perfetto per l’emergere di epidemie e il loro passaggio all’uomo. Se da un lato l’autrice include il problema della recente epidemia in un contesto più ampio e ne identifica la causa sistemica, le proposte portate (protezione degli habitat naturali, monitoraggio dei ceppi di virus emergenti) appaiono quantomeno limitate e non sembrano mirate ad una reale inversione di rotta.

Salti di specie, patogeni e crisi ambientale

In questo articolo, pubblicato su Dinamopress durante i primissimi giorni di lockdown italiano, Silvio Paone invitava a ragionare in maniera cauta sulle possibili relazioni causali che legano attività antropiche influenti sul cambiamento climatico e possibilità di maggiore incidenza e diffusione dei virus. Se da un lato la comunità scientifica è ormai concorde nel ritenere che una serie di attività come deforestazioni, allevamenti intensivi o caccia di animali selvatici favoriscano il cosiddetto spillover intaccando gli ecosistemi e aumentando la probabilità di contatto tra uomo e animali portatori del virus, dall’altro non si può dire lo stesso per quanto riguarda altri fattori come la diminuzione o l’aumento della biodiversità naturale. Prima di descrivere le due più recenti epidemie di Ebola e Sars, l’autore sostiene anche che sia difficile affermare con certezza l’esistenza di un aumento di questi fenomeni negli ultimi anni poiché l’assenza di strumenti di analisi avrebbe potuto portare a valutazioni diverse di fenomeni simili in passato. Il senso dell’articolo è riassunto in queste poche righe contenute nei paragrafi finali: “la relazione tra ambiente e patogeni umani è terribilmente complessa. Ma quel che è certo è che il nostro attuale modello di sviluppo potrebbe certamente portare a un incremento nelle malattie infettive d’origine zoonotica.”

https://www.infoaut.org/global-crisis/contagio-sociale-guerra-di-classe-micro-biologica-in-cina

L’articolo pubblicato dalla rivista cinese Chuang è una lunga riflessione che fa emergere il nesso strutturale tra la particolarità del caso cinese e processi economici, sociali ed ecologici globali. Il testo di può suddividere in due macro aree:la prima si occupa di mettere in relazione il COVID-19 con l’attuale sistema di produzione capitalistico e con le conseguenze dell’impatto di questo sistema sugli ecosistemi. La seconda approfondisce la gestione politica cinese della situazione andando in particolar modo ad analizzare le strutture di dominio che hanno potuto manifestarsi in tutta la loro potenza. La prima metà, in sintesi, mi sembra in linea con tutte le analisi che in questi giorni si richiamano a quelle di Wallace e Quammen, nella misura in cui colloca la nascita e la diffusione di virus selvaggi che diventano pandemie all’interno di un modo di produzione che caratterizzato essenzialmente da :
– urbanizzazione e iperproduzione 
– spinta di ceppi selvaggi all’interno del circolo di merci globalizzato
– agroindustria 
– scarsa igiene e condizioni sanitarie pessime. 
Interessante il modo in cui è approfondito questo punto per quanto riguarda la situazione sanitaria cinese, caratterizzata da un mancato investimento nei beni pubblici e da una crescente privatizzazione in ambito sanitario. Nella seconda parte sono descritte le politiche di contenimento applicate in modo omogeneo nei grandi centri come Wuhan e in modo differenziato e frammentario nei centri minori, le quali secondo gli autori avrebbero sottolineato l’incapacità strutturale profonda dello stato cinese in costruzione. Gli errori commessi dallo stato cinese hanno riguardato principalmente la repressione delle fonti di informazione sanitaria e il ritardo con cui reali provvedimenti di contenimento sono stati adottati. Questi si sono resi evidenti recentemente a un numero maggiore di cittadini. Un altro elemento importante è la necessità di un legame tra la critica sociale anticapitalistica e le scienze naturali, per elaborare un progetto politico capace di interagire con il disastro ambientale che si trasferisce in contagio sociale.

https://d24qi7hsckwe9l.cloudfront.net/downloads/biodiversita_e_pandemie_16marzo__1_.pdf
Report del WWF su biodiversità e pandemie

Il report del Wwf “Pandemie, l’effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi” ha il merito di ordinare e rendere leggibili gli studi che dimostrano il nesso fra la crisi ecologica e la diffusione delle epidemie. I primi contributi della comunità scientifica sull’argomento risalgono agli anni ‘90, mentre già nel 2005 le Nazioni Unite si erano mosse pubblicando un rapporto che avvertiva che il pericolo di esplosione di pandemie era legato alla distruzione degli ecosistemi. Appelli che vengono dalla Scienza, quella che in questo momento viene osannata ed è utilizzata per legittimare qualsiasi scelta politica, ma che per tanto tempo (forse quando eravamo in tempo) è rimasta inascoltata. La tesi di fondo è che l’aumento e la gravità delle epidemie siano la naturale conseguenza di alcune azioni umane: la deforestazione, l’invasione di nicchie ecologiche, l’attività mineraria, la frammentazione degli habitat e l’espansione di agricoltura industrializzata. Quale logica giustifichi queste azioni il Wwf non lo spiega, ma non serve avere troppa perspicacia per capire che si tratta del modo in cui il capitale si è finora prevalentemente sviluppato. Il report, lungo ma scorrevole, espone l’evoluzione anche di altre epidemie, come la malaria o quelle legate agli hantavirus, e dedica diverse pagine al commercio di specie selvatiche e al consumo di bushmeat, che vengono presentati come le principali cause di zoonosi (malattie infettive trasmissibili da animali). Se il consumo di bushmeat e il traffico di animali selvatici sono causa di diverse zoonosi, le numerose infezioni che prendono forma negli allevamenti intensivi, in questo report trovano appena menzione.Gli esotici e stravaganti pangolini o i pipistrelli di luoghi lontani forse fanno più paura dei familiari e rassicuranti allevamenti intensivi?

https://www.infoaut.org/approfondimenti/da-dove-e-arrivato-il-coronavirus-e-dove-ci-portera

Intervista al biologo R.G. Wallace, autore del volume Big Farms make Big Flu.

Lo sguardo di indagine rispetto al coronavirus è orientato sul legame tra agroindustria globale e più in generale i sistemi di produzione e accumulazione capitalistica e la diffusione di epidemie ed infezioni. La pericolosità del virus dipende dalla temporalità del focolaio, dalla posizione geografica, dall’età anagrafica; mentre il tasso di mortalità se non rapportato al contagio reale ma preso come dato assoluto è elevato perchè molto elevata è la contagiosità. 
Le multinazionali hanno una responsabilità di primo piano nella diffusione degli agenti patogeni poichè distruggono gli habitat che costituiscono gli scenari naturali di vita e riassorbimento di tali agenti ,evitandone la trasmissione nell’uomo. Il capitalismo supporta tale modello di sviluppo e gli interessi economici governativi ne garantiscono la continuità.  Azioni utili alla gestione della diffusione virulenta sarebbero un sistema sanitario nazionale preparato per affrontare emergenze così pervasive, coadiuvato dalla cooperazione comunitaria. Dei cambiamenti volti a ridurre l’insorgere di nuove epidemie potrebbero essere cambiare radicalmente la produzione alimentare, restituendo importanza al settore pubblico e ai singoli produttori, favorire lo sviluppo locale della produzione, incoraggiare finanziariamente la produzione agroecologica, ricucire le spaccature tra la nostra economia e l’ecologia.

https://ilmanifesto.it/david-quammen-questo-virus-e-piu-pericoloso-di-ebola-e-sars/

Il 25 marzo Stella Levantesi ha intervistato per ilmanifesto David Quammen, autore nel 2012 di “Spillover. L’evoluzione delle pandemie”. Ripercorrendo alcuni dei punti fondamentali del libro, letto e riletto in questo periodo da tantissim*, l’autore dà una definzione di malattie zoonotiche (che stima essere il 60% delle malattie umane) spiegando le ragioni della pericolosità e le modalità di diffusione dopo essersi soffermato sulle correlazioni tra l’interferenza umana con gli ecosistemi e lo sviluppo e la diffusione dei virus (tema quest’ultimo al centro di numerose richerche e riflessioni nelle ultime settimane).  Riguardo al ruolo che l’inquinamento potrebbe aver giocato rispetto alla diffusione del virus Quammen è cauto e sottolinea l’assenza di evidenze scientifiche fino ad oggi, ma ipotizza che possa aver giocato un ruolo almeno per quanto riguarda la compromissione degli apparati respiratori.  Alcune riflessioni sul ruolo dell’informazione e della disinformazione sul tema e un auspicio per il futuro compongono la parte finale di un’intervista importante per leggere la dimensione ecologica della pandemia

Sezione 2: POSSIBILITA’ ECOLOGICHE NELL’EMERGENZA

https://www.dinamopress.it/news/economia-coronavirus-unalternativa-al-dominio-del-pil/

A partire da un punto di vista decrescista, Sullo osserva che proprio in questo momento di crisi sanitaria, la retorica del PIL non scompare, ma anzi si ripropone in forme ancora più ossessive: quanti danni farà questa epidemia al PIL? Come faremo a farlo crescere di nuovo? Il Prodotto Interno Loro rimane l’unica misura possibile del benessere, a mettere in crisi questo postulato non arrivò il movimento dei movimenti nei primi anni 2000, e non arriva nemmeno questa crisi sanitaria globale. Esistono allo stesso tempo segmenti della Sinistra che invece di cogliere questa decrescita (infelice) come l’occasione per una critica radicale, si affannano a chiedere più potere per ridistribuire i benefici della crescita del PIL. Potrebbe invece essere questo il momento per inventarsi nuovi modi di abitare il mondo, per pensare il limite e la coesistenza, per costruire un’alternativa alle nostre città. Piccolo appunto critico: appare problematico l’esclusivo rinvio ad una nuova coscienza da costruire più avanti, in assenza di programmi per il presente e in momenti di grandi e rapidi sconvolgimenti, questo atteggiamento potrebbe rivelarsi limitante.

https://www.globalproject.info/it/mondi/naomi-klein-il-coronavirus-e-il-disastro-perfetto-per-il-capitalismo-dei-disastri/22638

In questo articolo, Noemi Klein utilizza le sue categorie di capitalismo dei disastri e dottrina dello shock per analizzare le politiche messe in campo dagli USA di fronte alla pandemia COVID19. Con la prima categoria intende il modo in cui l’industria privata si solleva per trarre profitto diretto da crisi su larga scala, una modalità che fa risalire alle politiche post 11 settembre, “soluzioni” di libero mercato pianificate in risposta a crisi che sfruttano ed esasperano le disuguaglianze esistenti. Il correlato è la dottrina dello shock, la strategia politica dell’usare crisi su larga scala per far passare politiche che sistematicamente arricchiscono le élite e tagliano fuori chiunque altro. Trasferendolo nella nostra situazione, lo shock è il virus, considerato da Klein esponenziale per il modo in cui è stato gestito. Per i governi e le élite globali si tratta delle condizioni perfette per rendere effettivi quei programmi politici che, in circostanze diverse, incontrerebbero una durissima opposizione, approfittandone anche per salvare imprese al centro dell’altra grande crisi che stiamo vivendo, quella ecologica (industria dei trasporti aerei, settore fossile…). Quali sono le alternative? Secondo Klein di fronte ad una crisi o regrediamo o riusciamo a crescere, trovando nuove possibilità. Queste sono rappresentate per lei dal Green New Deal, ma, oltre a questo, la possibilità che abbiamo è andare contro a quello che lei chiama il modello ‘’winners-take-all’’, la semplice salvaguardia del proprio interesse, che non è funzionale in questa particolare crisi. La salute delle altre persone è indissolubilmente legata alla nostra, e questo apre alla possibilità di renderci conto realmente del nostro legame con gli altri: serve essere consapevoli di questo e pensare al modo in cui, invece di accumulare e di pensare a come prenderti cura di te stesso e della tua famiglia, puoi fare perno sulla condivisione con i tuoi vicini e sull’attenzione alle persone più vulnerabili.

https://not.neroeditions.com/non-human-riot-1977-2020/ 

Tommaso Guariento parte dalla constatazione che la Rivoluzione come evento, come oggetto di riflessione e come prassi politica è qualcosa che ha sempre avuto a che fare con l’Umano. Oggi, invece, attraverso un’epistemologia ecologica riusciamo a comprendere che i non-umani (siano essi virus, demoni o catastrofi naturali) hanno un ruolo nelle rivolte: esacerbare le contraddizioni e rendere visibile, cristallina, l’ideologia. L’articolo prova a rintracciare nella storia, nell’antropologia e nel pensiero politico la possibilità di un’ agency non-umana seguendo le tracce del opera Humankind di Tim Morton. Nelle parole di Guariento: “Criticando le idee di Evento, Azione e Natura, Morton afferma che l’epoca dell’antropocene richiede uno sforzo strategico e immaginativo alla nostra specie». Siamo una specie porosa, certo,  ma che tipo di relazione, che tipo di solidarietà è possibile, posto che lo sia, con un virus? Possiamo quantificare il grado di cura che in questo momento abbiamo nei confronti dei non umani? Guariento scrive che l’agency non umana del virus opera come acceleratore temporale per la nostra comprensione delle contraddizioni ecologiche, resta da capire chi desidera e rende desiderabile un cambiamento radicale e chi invece spera che tutto torni come prima il più presto possibile.  Lo sforzo immaginativo a cui ci esorta Morton dovrebbe orientarsi verso una ricostruzione del senso di comunità che consenta una maggiore cura di sé e dell’Altro. 
 «Una rivolta innescata da non umani, che potrebbe riscrivere le regole dei rapporti fra umani e non umani»

https://politicalecologynetwork.org/2020/03/24/tourism-degrowth-and-the-covid-19-crisis/

L’articolo Turismo, decrescita e la crisi COVID-19, coprodotto da Robert Fletcher, Ivan Murray Mas, Macià Blázquez-Salom & Asunción Blanco-Romero dopo una breve riflessione sull’impatto che la recessione provocata dalla crisi del COVID-19 avrà sull’industria del turismo, si interroga sulle opportunità di decrescita implicate dal fenomeno del “sottoturismo”. Sulla scia delle considerazioni espresse da Noemi Klein, gli autori si chiedono come si possa attingere a questo momento storico per pianificare un ridimensionamento del turismo e una decrescita globale della società. In particolare questa crisi può illuminare su più aspetti: sulla dipendenza dell’economia mondiale dall’industria del turismo, sul controllo che i governi possono esercitare sulla mobilità in entrata e in uscita, e sulle azioni da intraprendere per guidare l’industria del turismo verso una transizione alla decresita; tra cui disincentivi per viaggi non essenziali a breve termine, stabilire una tassa sul carbone per i trasporti di massa ed individuali (che però non farebbe altro che distribuire sui più poveri i costi della crisi ecologica, come l’ecotassa proposta da Macron), mantenere i sussidi attualmente erogati per l’industria del turismo ma concentrarli nelle mani delle persone, quanto utilizzarli per finanziare progetti di deturistificazione, sopratutto in aree oltremodo sature.

Sezione 3: Off topic

https://www.technologyreview.com/s/615370/coronavirus-pandemic-social-distancing-18-months/
traduzione qui : https://pad.riseup.net/p/traduzioneCorona

Gideon Lichfield, in un articolo pubblicato dall’MIT Technology review, disegna un prospetto catastrofico, se non distopico, di quello che sta accadendo in tutto il mondo a causa di questa drammatica emergenza. A partire da uno studio dell’Imperial College London, Lichfield spiega che in un modo o nell’altro, da ora in poi le nostre vite non torneranno più al precedente stato di ‘normalità’. Per contenere il Covid ed evitare future esplosioni di pandemie, non ci sono molte alternative alle quarantene e a tutte le restrizioni che già stiamo vivendo.. Da un lato si possono usare tutte le misure per evitare ogni contatto sociale, oppure si può inasprire il sistema di controllo sociale digitalizzato, rendendolo sempre più capillare e invadente. Modelli di questo genere si stanno già sperimentando in molti paesi, ed è chiarissimo in quale misura la libertà della gente verrà compromessa. E nel momento in cui questo controllo sociale viene lasciato in mano ad un algoritmo, molto probabilmente si svilupperanno delle nuove discriminazioni su base sociale, economica o addirittura razziale (com’è successo negli US per un algoritmo usato da alcune assicurazioni sanitarie), che risultano essere molto più subdole e difficili da affrontare rispetto a quelle che viviamo già oggi.  Mettendo da parte il fattore delle libertà personali (certamente non secondario), Lichfield ci ricorda che ovviamente tutto questo andrà inevitabilmente a ripercuotersi su chi è più vulnerabile, che, seguendo una spirale discendente, si ritroverà ad essere ulteriormente discriminatx e allontanatx dai posti conquistati da chi, invece, può comprarsi un posto al sicuro nella nostra società.